di Emanuela Corda
Esistono dei fattori che possono concretamente portare alla caduta del regime di Vladimir Putin?
In questo momento storico, Mosca sembra raccogliere i frutti della sua lungimirante guerra ibrida: attualmente l’Europa si trova in una posizione di inedita debolezza davanti all’aggressività di movimenti interni ed esterni le cui attività minano i processi democratici. Presa in mezzo tra due potenze prima nemiche tra loro, che ora si rivelano inaspettatamente affini e impegnate a salvaguardare una la reputazione dell’altra, l’Europa ha davanti un futuro che richiederà una coesione come mai prima. In questo scenario, l’idea che l’attuale regime di Mosca possa giungere al termine richiede una doverosa attenzione.
Un mese fa, Evgenij Savostianov ha pubblicato un report per l’American Foreign Policy Council (AFPC) in cui analizza le debolezze interne ed esterne alla Federazione, debolezze che potrebbero consolidarsi come dei fattori in grado di contribuire al declino del governo russo; si concentra soprattutto sulle fratture interne che a seguito della guerra contro l’Ucraina si sono evidenziate non solo fra la popolazione civile e il regime, ma anche all’interno delle élite stesse, sia politiche che militari, all’interno cioè di una cerchia di potere che fino a pochi decenni fa poteva essere considerata come una zona cuscinetto per Putin e in cui non potevano essere messi in discussione lealtà e intenti sostenuti da benefici comuni.
Savostianov, che ha analizzato questi fattori di destabilizzazione, sottolinea come storicamente i regimi totalitari siano stati soggetti a crolli improvvisi a causa di eventi drammatici o dell’emergere di nuovi leader carismatici in grado di riunire il popolo contro lo status quo, così come la percezione del progresso economico e sociale nei Paesi vicini può fomentare la percezione di arretratezza e il malcontento nazionale, aumentando l’attrattiva per modelli di governo diversi e alternativi. Lo abbiamo visto di recente in Siria, con il rovesciamento del governo di Assad, un regime dittatoriale e violento che ha fatto della propria abusiva rigidità, della cronica mancanza di supporto popolare e dell’incapacità di guidare il paese verso una ripresa positiva, le cause della sua caduta, a fronte di un movimento rivoluzionario e di una guida alternativa dalla storia altrettanto violenta, che hanno rovesciato e preso il potere con una insurrezione. Così come lo abbiamo visto in Ucraina e Georgia, dove la forte influenza del regime di Mosca non è riuscita a eliminare il desiderio popolare di forme di governo più vicine a valori e politiche europee, distanti dal paradigma russo della sovranità putiniana e del ruscismo.
Quali sono i fattori di debolezza interni ed esterni che potrebbero essere significativi per una eventuale caduta del regime di Putin?
La guerra intestina fra le élite al potere è sicuramente un fattore di tensione e indebolimento: dopo la guerra mossa all’Ucraina, le vecchie, monolitiche élite al potere che hanno portato e sostenuto Putin fino a quel momento, hanno iniziato a subire perdite significative in termini economici a causa delle sanzioni occidentali. Al risentimento di questa cerchia, Putin ha risposto coltivando una nuova élite che emerge dai ranghi dei lealisti e dei veterani militari, ambito radicalmente e inestricabilmente connesso alla natura del potere di Putin.
I conflitti interni non si limitano alle sole élite politiche e finanziarie, ma anche agli apparati di sicurezza e a quello militare. Da anni il Ministero della Difesa russo e l’FSB sono sempre più in contrasto, con guerre intestine che sporadicamente diventano cronaca, come accaduto nel 2023 con l’ammutinamento di Yevgeny Prigozhin con la sua PMC Wagner e seguenti purghe fra gli alti ranghi militari vicini a Putin.
Le difficoltà economiche sono un altro grande fattore interno che potrebbe influenzare grandemente una eventuale caduta del regime. La scelta di muovere guerra all’Ucraina continua ad avere un costo elevato non solo in termini di vite umane: l’inflazione è alle stelle, gli investimenti sono al minimo, le sanzioni creano un ristagno sull’economia con effetti che influiscono sulle posizioni ideologiche e politiche di una delle grandi caste della Russia moderna, quella degli oligarchi. I potenti dei comparti industria e finanza sembrano trovare un intento comune nel mettere fine alla guerra per poter risanare i loro business, una possibilità che però resta remota data la ferma intenzione del regime di Putin di portare avanti il conflitto e che attualmente potrebbe cambiare vista la pressione degli Stati uniti sui negoziati in favore di Mosca. Ciò non toglie che il sentimento di sfiducia e di rabbia portato dal dissenso durante una fase di conflitto, non limitato solo alle élite ma in senso generale, non solo può restare latente, ma può trasformarsi in un monito e nella percezione di una necessità di riforma da attuare prima che il regime possa ripetere il suo errore.
L’indebolimento del consenso ai margini della Federazione è un elemento fattuale: l’insoddisfazione di regioni considerate di secondo piano nella Federazione, come la Cecenia o la Siberia, dimostra che la distrazione di Putin sta lasciando campo libero al risentimento dei leader locali, che potrebbero diventare una opposizione non più tanto marginale per le autorità centrali. Soprattutto considerato che proprio le regioni periferiche della Russia sono quelle che hanno subito perdite più consistenti in termine di vite umane. A questo si aggiunge la possibilità sempre presente di nuove mobilitazioni, che porterebbero a un ancora più radicato dissenso nell’opinione pubblica. Nel caso di una vittoria attribuita a Mosca, la ferita del conflitto in Ucraina si andrebbe a sommare a quelle non ancora guarite della storia recente, quando fu proprio Putin a basare il suo quasi unanime consenso all’inizio della sua carriera sfruttando proprio queste regioni per costruire sulla violenza il suo regime.
Il sentimento dell’opinione pubblica è proprio uno di quei fattori che potrebbero determinare il rovesciamento del regime, considerate le innumerevoli sfumature del dissenso. Si pensi ad esempio ai sostenitori di Putin e del conflitto, che a un certo punto si trasformano in una feroce opposizione perché non ritengono che si stia facendo abbastanza per vincere la guerra. Si pensi a chi invece è ostile a Putin perché identificato come la causa del tracollo economico. Si pensi all’opposizione silenziosa, che da sempre ha cercato di contrastare la deriva dittatoriale del Cremlino; si pensi appunto alle varie caste, che considerano Putin non più un elemento da cui trarre beneficio ma un ostacolo alla propria ripresa. Non è soggettivo ma oggettivo il fatto che la guerra militarmente mossa nel 2014 abbia portato a un impoverimento della popolazione russa che già fronteggiava una situazione economica precaria.
Vi è inoltre un elemento invisibile ma solido che può modificare le percezioni della società civile portandola verso un possibile cambiamento al di là dei fattori legati strettamente al conflitto in Ucraina e alla sua risoluzione: l’influenza dei paesi vicini, ma soprattutto la consapevolezza di un reale progresso economico, sociale e umanitario che vede protagoniste certe repubbliche ex sovietiche, può contribuire a fomentare l’insoddisfazione generale e la sfiducia nel sistema attuale e nei suoi leader, nonché ad ampliare le fratture che si sono generate internamente proprio a seguito di un conflitto così prolungato e dal prezzo altissimo, portando all’urgenza di un bisogno di quel cambiamento che possa soddisfare le necessità diffuse in termini di governance e di stile di vita.
Le strategie di Putin per arginare i danni derivanti dai rischi sopra citati, sono varie.
All’interno delle élite di cui si circonda, Putin è ancora in grado di coltivare, attraverso il potere, la lealtà nei suoi confronti e verso lo stato, utilizzando strumenti di controllo e repressione riconducibili al suo apparato di sicurezza personale e allo sfruttamento dei poteri legislativi. Putin sta costruendo una nuova élite attingendo a quelle figure emerse con l’invasione dell’Ucraina, il cui totale supporto ideologico è rafforzato con benefici statali, trattamenti di favore e scorciatoie politiche. Se da un lato l’opposizione dei vecchi oligarchi alla guerra, direttamente colpiti dalle sanzioni ha generato una dilagante moria del consenso, dall’altro la guerra in Ucraina ha creato una nuova schiera di beneficiari del conflitto che hanno tutto l’interesse a portarlo avanti attraverso il sostegno incondizionato al regime. Questo non significa che Putin sia venuto meno a una delle sue regole più famose, quella della distanza di sicurezza, sia fisica che simbolica, dalle persone di cui si circonda.
Ha continuato a usare la repressione come strumento di gestione, sia in ambito civile che in quello militare, attraverso purghe e manipolazioni di potere: come precisa Savostianov, ad oggi il Ministero della Difesa è fisicamente sorvegliato da personale del FSB. In termini economici, di fronte alla precaria situazione del Paese, ha scelto l’endorsement alla presidente della Banca Centrale, mentre per quanto riguarda le regioni periferiche della Federazione, continua a gestire in maniera fortemente centralizzata e diretta i protocolli regionali e i governatori locali.
Più difficile in termine di neutralizzazione del dissenso, agire sulla società, che risulta in ogni caso già piegata da limitazioni e censure che hanno abituato il cittadino comune alla mancanza di manifestazioni generali e visibili di contrasto al regime. Anche se questo, in realtà, ha un risvolto da non sottovalutare: il cittadino russo è talmente abituato a non esporsi, che viene da chiedersi se lo farebbe per difendere Putin in caso di rovesciamento del regime. Secondo Savostianov, questa impassibilità e mancanza di supporto si è già evidenziata nella storia recente.
Anche per questo l’ingerenza del governo nella vita del cittadino è pressoché totale, soprattutto da quando è iniziata l’aggressione all’Ucraina: allontanamento dei bambini dal nucleo familiare, rieducazione, controllo delle comunicazioni online, leggi specifiche a contrasto del dissenso nel mondo reale e virtuale, censura, incoraggiamento alla delazione diffusa, programmi di propaganda, isolamento.
Un regime così granitico e con una struttura manipolatoria e isolazionista così complessa, necessita di numerosi e convergenti fattori, parte già presenti, che riescano a frammentare e indebolire le sue fondamenta. Il cambiamento del sentimento nei confronti della Russia da parte dell’opinione pubblica straniera a seguito delle posizioni nette in suo favore di Donald Trump e del governo americano, il numero sempre più alto in Europa di fronti filorussi e la pressione ideologica portata dai massicci attacchi di propaganda, possono far ritenere che i fattori legati al conflitto in Ucraina potrebbero risolversi spontaneamente con la negoziazione della resa dell’Ucraina.
Questo, la vittoria della Russia, causerebbe una minaccia diretta, frontale e immediata alle democrazie occidentali, e deve portare a riflettere ora più che mai, su quanto sia vitale non solo il concetto di unità, ma anche la protezione totale, a tutti i livelli della società, del sistema di valori democratici e progressisti, fautori di libertà e di equità, che sono tutto ciò che la Russia e i suoi alleati combattono.
Evgenij Savostianov è una figura interessante della scena politica russa e un nome di rilievo nell’ambito scientifico. Rappresentante della comunità liberal-democratica e con una serie di incarichi politici alle spalle, Savostianov è stato anche direttore dell’ufficio di Mosca dei Servizi di Sicurezza dello Stato (AFB RSFSR) in cui ha avuto diverse esperienze sul campo con le operazioni speciali e vice direttore dell’amministrazione dell’ex presidente Boris Eltsin. La sua analisi e il suo punto di vista risultano particolarmente interessanti proprio per l’esperienza interna ai meccanismi dello Stato e alla sua partecipazione ai movimenti democratici (è stato tra i fondatori del movimento “Russia Democratica”) a cavallo fra gli anni Novanta e Duemila. Il suo percorso accademico e scientifico si sviluppa nel campo dell’ingegneria mineraria e della fisica del sottosuolo.
Emanuela Corda è responsabile dell’Osservatorio sulla Disinformazione, sull’Estremismo e sul Radicalismo Online e direttrice editoriale del Blog e della Newsletter “Minacce Strategiche e Sicurezza Democratica” dell’Istituto Germani.