Putin e l’antisemitismo russo

di Massimiliano Di Pasquale

A detta di Robert Conquest, forse il maggiore storico dello stalinismo, la svolta verso l’antisemitismo di stato in URSS avviene tra il 1942 e il 1943, probabilmente influenzata anche dal successo ottenuto da Hitler sfruttando la demagogia antisemita.

Durante la guerra Stalin tenne il piede in due scarpe, come spesso faceva. Fu istituito un Comitato antifascista ebraico, i cui dirigenti andarono negli Stati Uniti e si adoperarono per assicurare all’Unione Sovietica il supporto ebraico internazionale. Ma già nel novembre 1946, Mihail Suslov inviò a Stalin un biglietto sull’”attività dannosa” del comitato”.

L’attacco di Stalin contro gli ebrei si intensifica a partire dal 1943. Gli ebrei vengono considerati dal regime stalinista degli emarginati, moralmente corrotti con un “complesso di inferiorità nazionale”, che si palesa nel rifiuto della propria cultura e nella sottomissione agli interessi delle nazioni straniere. Cosmopoliti senza radici, gli ebrei sono per Stalin uno strumento per l’espansione culturale ed ideologica dell’Occidente. L’espressione “cosmopoliti senza radici” diventa così sinonimo di ebrei.

Nel 1946 Stalin inizia una campagna antisemita per epurare gli ebrei dall’apparato del partito, dal servizio diplomatico, dall’apparato militare e dai servizi segreti.

Inizialmente la campagna contro i “cosmopoliti” non è pubblica, ossia il partito emana direttive riservate per licenziare gli ebrei dalle posizioni di potere, ma i media controllati dallo Stato non attaccano apertamente gli ebrei fino alla fine degli anni Quaranta.

Nel gennaio 1948 Stalin ordina nella massima segretezza l’omicidio a Minsk di un dirigente ebraico, Solomon Mikhoels, presidente del Comitato antifascista ebraico e direttore del Teatro yiddish di Mosca. L’omicidio viene definito un incidente automobilistico e, come accaduto già in precedenza con Kirov, Mikhoels viene pianto in pubblico.

Le autorità, per attenuare le “voci provocatorie” sul coinvolgimento dei servizi di sicurezza sovietici, concedono infatti a Mikhoels un funerale di Stato e pubblicano un necrologio in cui lo descrivono come un grande artista e una figura pubblica di spicco che ha dedicato la sua vita al servizio del popolo sovietico. Allo stesso tempo, il governo diffonde disinformazione sostenendo che Mikhoels è morto “per mano di sionisti” o di “fascisti polacchi” inviati in Bielorussia. La campagna antisemita di Stalin diventa pubblica il 28 gennaio 1949, quando la Pravda, il giornale ufficiale del PCUS, pubblica un editoriale in prima pagina intitolato “A proposito di un gruppo antipatriottico di critici teatrali”.

Secondo lo storico Boris Sokolov, l’articolo è la prima pubblicazione che invita apertamente il pubblico sovietico a unirsi alla lotta contro i “cosmopoliti senza radici”. L’articolo, probabilmente commissionato e curato dallo stesso Stalin, addita come “cosmopoliti senza radici” diversi critici teatrali ebrei, sostenendo che hanno tradito i loro impegni verso il popolo sovietico e che rappresentano “insidiose forze antipatriottiche” il cui scopo è distruggere l’unità ideologica della società sovietica. L’articolo equipara il cosmopolitismo al parassitismo che distrugge le piante sane e lo accusa di promuovere idee borghesi ostili al popolo sovietico.

Ai primi di marzo la stessa Pravda epura gli israeliti dalla sua redazione, l’Armata Rossa destituisce gli ufficiali ebrei e il PCUS rimuove gli attivisti ebrei da posizioni dirigenziali. Alcuni poeti e romanzieri che usano pseudonimi russi trovano pubblicato tra parentesi il loro vero nome, gli scrittori interessati alla cultura yiddish e allo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti vengono arrestati.

Vasily Grossman scriverà in Tutto Scorre: “Se in una recensione veniva criticato un libro scritto da un ebreo che portava uno pseudonimo letterario russo, si stampava accanto, tra parentesi, il cognome ebraico dell’autore. Sembrava fossero solo gli ebrei, nell’URSS, a rubare, a prendere soldi sottobanco, ad essere criminosamente indifferenti alle sofferenze dei malati, a scrivere libri riprovevoli e abborracciati”

Poco prima della sua morte, avvenuta nel marzo del 1953, Stalin e il Ministero sovietico della sicurezza dello Stato (MGB), uno dei predecessori del KGB, lanciano forse la più nota campagna di disinformazione e propaganda antisemita dell’epoca sovietica: il “complotto dei medici”.
Secondo uno storico dell’antisemitismo sovietico, Louis Rapoport, Stalin progettava di usare il “complotto dei medici” come pretesto per commettere un genocidio contro il popolo ebraico.

A conclusioni simili giunge Timothy Snyder che scrive:
A giudicare dalle voci correnti al tempo, i cittadini sovietici non avevano difficoltà ad immaginare il possibile esito: i medici avrebbero subito un processo farsa, insieme ai capi sovietici che si presumeva fossero loro complici; gli altri ebrei sarebbero stati epurati dalla polizia di Stato e dalle forze armate; i 35.000 medici ebrei sovietici ( e forse altrettanti scienziati) avrebbero potuto essere deportati nei gulag, e magari anche la popolazione ebraica avrebbe potuto essere sottoposta a trasferimenti forzati o anche a esecuzioni di massa”.

È interessante notare come Putin e altri politici russi attuali, quali il ministro degli esteri Sergei Lavrov, resuscitano narrazioni simili a quelle dell’epoca stalinista, su sedicenti quinte colonne presenti all’interno della società russa, per aumentare il “patriottismo” dei russi mentre il Cremlino conduce la sua guerra in Ucraina.

Il 16 marzo 2022, tre settimane dopo l’invasione su larga scala, l’inquilino del Cremlino, parlando ai ministri del suo governo, lancia un duro avvertimento ai “traditori” russi che, a suo dire, l’Occidente vuole usare come “quinta colonna” per distruggere il paese.
Putin attacca i russi che, secondo lui, sono più in sintonia con l’Occidente rispetto alla Russia, e afferma che il popolo russo è in grado di distinguere rapidamente tra traditori e patrioti.

Certo che loro (l’Occidente) cercheranno di scommettere sulla cosiddetta quinta colonna, sui traditori, su coloro che guadagnano i loro soldi qui, ma vivono là. Vivono, non in senso geografico, ma nel senso dei loro pensieri, del loro pensiero servile […] Qualsiasi popolo, e in particolar modo il popolo russo, sarà sempre in grado di distinguere i veri patrioti dalla feccia e dai traditori, e di sputarli fuori come un moscerino che è volato accidentalmente nelle loro bocche”.

Sophia Moskalenko e Mia Bloom in un articolo pubblicato il 15 marzo 2022 su Haarez sottolineano come nei giorni in cui la Russia invade l’Ucraina inizia un’improvvisa corsa tra i più famosi propagandisti russi a identificarsi come ebrei, compresi personaggi notoriamente antisemiti, che fanno uso di ingiurie etniche contro gli ebrei nello stesso momento in cui affermano di far parte della tribù.

Sergei Shnurov, il leader della popolare rock band russa Leningrad e direttore di RTVI, un canale televisivo (di propaganda) russo, ha pubblicato il suo nuovo video musicale intitolato “Vietato l’ingresso a russi e cani” incentrato su quello che lui chiama “il genocidio” dei russi in Ucraina. Nel video, due uomini stanno alle spalle dei cantanti con indosso la tradizionale “casacca di Tolstoj” (la kosovorotka), ma in questo caso decorata con grosse stelle di David che ricordano la stella gialla imposta dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. Shnurov canta: “Ora un russo è come un ebreo a Berlino nel 1940”, mentre una cantante di supporto gli fa eco con un ritornello sul “genocidio”. La canzone si conclude con un comune insulto russo verso gli ebrei: zhid. Shnurov canta: “Dite, europei, non tacete: i russi sono i nuovi zhid. Voi volete che bruciamo tutti in un forno”. L’uso dell’ingiuria etnica nella canzone tradisce la profonda antipatia verso il gruppo stesso di cui stanno cercando di appropriarsi, per non parlare dell’insolente riferimento alla Shoà”.

Il 1° maggio 2022 il ministro degli esteri russo Lavrov, ospite della trasmissione Zona Bianca di Rete 4, parlando della presunta “nazificazione” dell’Ucraina, chiama in causa Volodymyr Zelenskyi, sostenendo che le origini ebraiche del presidente dell’Ucraina non rappresentano affatto una scusante perché “anche Hitler aveva origini ebree, i maggiori antisemiti sono proprio gli ebrei”.
Yad Vashem Dani Dayanha, capo dell’Ente nazionale per la memoria dell’Olocausto, bolla le affermazioni di Lavrov come “false, deliranti e pericolose e degne di ogni condanna”.

Israele convoca l’ambasciatore russo per chiarimenti. Qualche giorno più tardi Putin, con una doppiezza degna di Stalin, si scusa ufficialmente con il primo ministro israeliano Bennett per le frasi di Lavrov.
Dopo le osservazioni di Lavrov, Vladimir Solovyov, presentatore di Pervyy Kanal, e altri propagandisti della televisione di stato russa affermano che il nazismo non implica necessariamente l’antisemitismo, ma può invece riflettere la cosiddetta “russofobia”. L’ecosistema di disinformazione e propaganda russo cerca quindi di sostenere le false affermazioni dei funzionari attaccando ulteriormente Zelenskyi, ribadendo le presunte origini ebraiche di Hitler e tentando di screditare i leader israeliani. Un’agenzia di disinformazione collegata all’’intelligence militare russa, One World, descrive i critici di Lavrov come razzisti “simili a Hitler” per aver suggerito che “l’identità etno-religiosa di una persona alla nascita” predetermina le sue opinioni politiche”.

Il 5 maggio 2022, la politologa russa e professoressa universitaria del MGIMO (L’Istituto statale di Mosca per le relazioni internazionali) Elena Ponomareva dichiara al canale Rossiya-1 che “l’Ucraina è un luogo dove inizia questa rinascita [di un progetto nazista globale] … come antisemitismo contro i russi, contro tutto ciò che è legato alla Russia”.

Alla fine del 2022 il clima di crescente tensione nei confronti degli ebrei spinge Pinchas Goldschmidt il rabbino capo di Mosca, ora in esilio, ad esortare gli ebrei russi a lasciare il Paese finché è ancora possibile, prima che diventino capri espiatori per le difficoltà causate dalla guerra russa in Ucraina.
Nel gennaio 2023, in un’intervista alla canadese CBC Radio, interrogato sulle motivazioni che l’hanno spinto a quell’appello il mese precedente, dichiara:

Ho osservato, durante l’ultimo mese, un cambiamento, un grande cambiamento, nella direzione presa dal paese. Il paese è passato da autoritario a più totalitario. E la cortina di ferro, che è salita alla fine dell’Unione Sovietica, sta calando e abbassandosi ogni giorno. Ed è tornato l’antisemitismo”.

Nel luglio 2023, il governo russo etichetta il rabbino Goldschmidt come “agente straniero”.
Nel dicembre 2024, nel consueto incontro di fine anno con la stampa russa, Putin rilancia un noto tropo antisemita, affermando che gli ebrei stanno facendo a pezzi la Chiesa ortodossa russa.

Queste persone che stanno attaccando la chiesa non sono atei”, afferma Putin. “Sono persone assolutamente senza fede, persone senza Dio. Beh, etnicamente, molti di loro sono ebrei, ma non li hai mai visti visitare nessuna sinagoga”.

Dopo aver aggiunto che i presunti oppositori della chiesa non sono né cristiani ortodossi né musulmani, l’inquilino del Cremlino aggiunge che “queste sono persone senza parenti o memoria, senza radici. Non hanno a cuore ciò che noi abbiamo a cuore e che la maggior parte del popolo ucraino ha a cuore”.

Commenti, scrive TheTimes of Israel, che riecheggiano l’antisemitismo dell’era stalinista quando il Cremlino perseguitava gli ebrei e li accusava di essere “cosmopoliti senza radici”.
 
Massimiliano Di Pasquale è direttore dell’Osservatorio Ucraina dell’Istituto Germani. Giornalista, saggista, ucrainista, è esperto di disinformazione e Paesi post-sovietici.
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